[Ripropongo uno studio di Pier Paolo Gobbi sui Bisogni del nascituro. E’ più che mai attuale. Lo studio fa parte di un capitolo del libro di Gilberto Gobbi, Il padre non è perfetto]
I bisogni del nascituro* Per molto tempo si è pensato alla vita prenatale come a una condizione simile alla beatitudine paradisiaca, destinata a terminare con la nascita e al nascituro come a “una massa psichica indifferenziata sulla quale venivano a fissarsi le esperienze, i pensieri e le azioni solo dopo la nascita” (G. Soldera, 1995). Lo sviluppo scientifico degli ultimi quarant’anni, grazie alla messa a punto di mezzi di tecnologia bio-medica sempre più sofisticati, ha consentito di indagare e conoscere il mondo intra-uterino rivelandolo in realtà come un periodo della vita ricchissimo di stimoli, attività, esperienze e relazioni, segnato come la vita postnatale, dalla compresenza degli opposti vissuti di piacere e dispiacere, tensione e distensione. I numerosi dati raccolti negli studi sulla vita prenatale hanno ormai dimostrato che il bambino fin dal momento del concepimento è “un essere reattivo che percepisce, ricorda, apprende e manifesta un proprio comportamento con tratti individualizzati” (R. Smacchia, 2000).
La concezione statico-passiva del periodo prenatale è stato così gradualmente sostituita da una concezione dinamico-attiva, orientata in senso evolutivo, “la quale vede il neonato, nel suo primo impatto con il mondo, portare con sé una serie di vissuti su cui si formerà lo sviluppo successivo dell’Io” (G. Soldera, 1995). Ne deriva che, da un’immagine di dualismo in cui alla madre veniva conferito un roulo meramente nutritivo del feto, immerso in una componente amniotica fluida e isolante, la gestazione è ora, invece, vista come un sistema relazionale complesso tra madre e figlio, intimo e contemporaneamente ”aperto” all’ambiente, a ciò che avviene nel mondo esterno. Questa relazione e interazione consentono di vedere la realizzazione della gravidanza come un fenomeno che coinvolge il bambino, la donna, la coppia e l’ambiente che li circonda in “una esperienza che non è solo fisica e biologica ma che interessa tutto l’ambiente psichico, affettivo e intellettivo” (S. Mancuso, 2001).
Il periodo prenatale si rivela essere un luogo e un tempo favorevoli alla comunicazione e dove ogni forma di esperienza materna e ogni stimolazione diventano prioritarie ed elettive dell’Io prenatale, nucleo primario della struttura psichica del futuro adulto; rappresenta quel pezzo di vita, che costituirà il pilastro basilare dell’avventura umana nel mondo. Per questo in alcune culture orientali gli individui alla nascita ricevono l’età uno e non zero, ad indicare che alla nascita non si parte dal nulla. In senso filosofico, metafisico e religioso, ciò suggerisce che nell’utero si svolge una storia che possiede comunque una sua totalità, unità e completezza: ciò che ogni volta nasce è sempre Uno.
Il nascituro è un partner attivo in una relazione primaria con la madre e tramite lei con il mondo: attraverso l’ecografia e l’elettrocardiogramma molti ricercatori hanno rivelato che il concepito è in continua relazione con la madre e da essa viene influenzato attraverso i suoi pensieri, emozioni e comportamenti. Questi incidono su sviluppo, crescita e formazione del feto, come è stato dimostrato, a partire dalle ricerche condotte negli anni trenta, dall’ostetrico americano L.W. Sontag (cfr.: A. Macfarlane, 1980).
Un nutrimento completo – Il feto entra in relazione con l’ambiente interno ed esterno tramite la mediazione della placenta che è l’organo della nutrizione, della respirazione e della depurazione: luogo di tutti gli scambi vitali per il nascituro. Tramite il cordone ombelicale e la placenta il nascituro riceve tutto quanto necessita al suo sviluppo fisico, ma riceve anche un nutrimento di natura psichica, affettiva ed emotiva: egli si “nutre” anche dei pensieri, dei desideri, delle emozioni della madre. E’ un nutrimento completo.
Durante la gravidanza la madre è anche un “grembo psichico”, luogo primitivo di esperienze sensoriali, motorie ed emotive e l’interazione avviene per mezzo di mediatori chimici e neurosimpatici. Il vissuto emozionale del nascituro può essere indagato tramite la rilevazione e l’analisi delle reazioni bio-ormonali, lo studio delle reazioni fisiologiche, l’osservazione del comportamento fetale, evidenziando così che “il comportamento del feto risente moltissimo di tutti gli stimoli ambientali costituiti dal corpo materno, con il quale si stabiliscono degli scambi sia sul piano biologico che psicologico: cambiamento di posizione, stimoli acustici, variazioni ormonali, contrazioni toniche,…” (F. Boscaini, 2000).
Nascita della memoria emozionale – Nella specie umana la maturazione di tutti gli apparati sensoriali si svolge quasi completamente nell’utero. La sequenza dello sviluppo prevede che divenga funzionale per primo il sistema della sensibilità cutanea, che rappresenta evolutivamente il primo canale dell’esperienza e della comunicazione, successivamente il sistema vestibolare, quello uditivo e infine il visivo.
Studi recenti hanno messo in evidenza le capacità sensoriali e cognitive del nascituro: a tre mesi gusta, a quatto vede, a cinque sente, mentre la pelle, organo fondamentale per la percezione è già completa all’ottava settimana. Gli organi di senso e i centri cerebrali corrispondenti sono formati alla fine del periodo embrionale e poi si sviluppano ed affinano durante la vita fetale con modalità differenti, secondo la qualità e l’intensità degli stimoli ricevuti (G. Soldera, 1995).
Tramite indagini di laboratorio è stato evidenziato che sostanze neuro-chimiche componenti del dolore compaiono fin dalla 12^ settimana di vita prenatale. Osservando poi il comportamento del feto all’esame invasivo dell’amniocentesi spesso si evidenzia prima un’accelerazione e poi un’inibizione del battito cardiaco e della motricità e tentativi con il braccio per svincolarsi dall’ago. Inoltre da prelievi eseguiti sul feto “è stata riscontrata una iperproduzione di cortisolo e beta endorfine, due ormoni presenti nell’esperienza del dolore” (A. D’Amico, 1994).
Allo stesso modo le emozioni negative vissute dalla madre e legate a situazioni di stress producono una perturbazione biochimica nel corpo materno con conseguente aumento dell’acht e di altri ormoni che raggiungono il feto e interagiscono aumentando ad esempio il battito cardiaco e sono anche in grado di provocare esperienze traumatiche emozionali nel feto. Nello stato di ansia della madre si può osservare una reazione motoria del feto come risposta.
Le emozioni positive vissute dalla madre mettono in circolo da parte del sistema limbico le endorfine, gli “ormoni della felicità”, che poi entrano in contatto con il nascituro provocando uno stato di benessere e di distensione. Si può ipotizzare una prima esperienza di piacere.
Circa l’esperienza del gusto è stato rilevato che, se nel liquido amniotico vengono iniettate sostanze amare, il feto appena le percepisce fa delle smorfie e tentativi di chiudere la bocca segnalando di non gradire. Invece in presenza di sostanze dolci il feto risponde con movimenti di suzione e deglutizione accompagnati da espressioni che indicano piacere.
Per la sensibilità alla luce sono state evidenziate reazioni di fastidio ad una luce forte puntata verso il ventre materno e diversità nel battito cardiaco a seconda del tipo di luce che viene orientata. Testimonianze di operatori medici parlano di gradimento o di disappunto, di fughe di fronte al raggio invasore. Sembra che il feto reagisca all’ambiente selezionando gli stimoli (cfr.: R. Smacchia, 2000).
Riguardo alla percezione uditiva, il nascituro vive immerso in un mondo di suoni interni ed esterni al corpo. Tutti i suoni esterni raggiungono l’utero dove vengono amplificati dal liquido amniotico e percepiti nei primi mesi tramite i recettori cutanei e solo successivamente tramite l’organo dell’udito. Tra le stimolazioni della vita prenatale, alcune sono continue e sono prodotte dal movimento ritmico del cuore e del respiro materno, altre invece sono episodiche come la voce della madre o di altre persone o suoni provenienti dall’ambiente. E’ stato osservato che il battito cardiaco calmo e regolare della madre viene fatto proprio dal feto, che diminuisce l’attività motoria ed inoltre se tale battito viene registrato e riproposto al neonato, egli è in grado di discriminarlo e di riconoscerlo quando in culla glielo si fa riascoltare. Tale memoria uditiva, come quella olfattiva legata all’odore della madre e quella gustativa connessa al sapore del liquido amniotico in relazione al primo latte materno, sembra giocare un ruolo per il riconoscimento e l’attaccamento successivi alla nascita e in ultima analisi è nunzionale alla sopravvivenza.
Dagli studi sulla percezione uditiva fetale sono derivate le ipotesi iniziali riguardo alle prime forme di processi cognitivi individuabili a livello prenatale. La capacità di discriminazione di suoni diversi è già presente a ventisette settimane e nello stesso periodo compare la risposta di “habituation”, che si manifesta come un progressivo decremento della risposta fetale a stimoli sonori identici presentati ripetutamente in un certo intervallo di tempo. Per diverse modalità con le quali si declina questa reazione si può cogliere in essa la presenza dei primi abbozzi di processi cognitivi impliciti di tipo attentivo e mnemonico, ma anche il primo manifestarsi delle differenze individuali di temperamento.
L’ambiente materno-fetale è favorevole a promuovere l’abilità del feto ad apprendere tramite stimolazioni, percezioni ed emozioni: la percezione del ritmo del battito cardiaco dà al feto anche il primo senso del ritmo, che gli consente di distinguere periodi di veglia, di riposo e di movimento. Il feto percepisce la voce materna e la sente anche attraverso le vibrazioni degli organi interni della madre. La voce materna con la sua intenzionalità e carica emozionale è anche uno stimolo, che il feto ricorderà dopo la nascita e il suo riconoscimento, “investito” affettivamente, svolgerà un ruolo importante nel contenimento del bambino da parte della madre.
In “Vita segreta prima della nascita”, T. Verny (1980) ipotizza che il linguaggio materno con i suoi ritmi e i suoi suoni possa anche favorire la successiva comprensione e apprendimento del linguaggio verbale.
In Francia la musicista M.L. Aucher attua una proposta di maternità cantata e sostiene che i bambini che hanno ricevuto questo tipo di stimolazione sonora a loro gradita si muovono in modo più armonico e coordinato dopo la nascita. Il medico inglese M. Clement ha studiato le reazioni del feto a brani musicali e sostiene che Brahms e Beethoven lo agitano, mentre Vivaldi e Mozart lo calmano e in genere la musica rock o punk ha un effetto stressante (cfr.: G. Soldera, 1995).
Inoltre, per la madre parlare o cantare una canzone al figlio in grembo aiuta nel riconoscimento del “Tu” che la abita e favorisce l’instaurarsi di una relazione dinamica in cui trovano posto gli aspetti emozionali e creativi. La voce materna, conosciuta e riconosciuta dal feto, se è calma, dolce, lenta, carica di affettività, consente alla madre di entrare in una relazione positiva e intima con il nascituro.
Sono interessanti, a questo proposito, i risultati ottenuti da alcuni studiosi e operatori del settore prenatale, che hanno messo a punto programmi di stimolazione fetale e comunicazione tra genitori e nascituro. Si tratta di programmi differenziati, che utilizzano una stimolazione tattile e uditiva di tipo sistematico per favorire l’utilizzo da parte del feto delle sue abilità sensoriali e percettive. L’idea di base è che incentivare le esperienze sensoriali del feto ne promuova lo sviluppo somatopsichico. Rilievi longitudinali su campioni di bambini, che hanno partecipato ai programmi, documentano effetti positivi, che si manifestano in una precocità nello sviluppo fisico e psicologico e in una interazione genitore-bambino più positiva e ricca. Il fatto sorprendente, che si è potuto constate in diversi casi, è che dopo ripetute esperienze il feto è in grado di mostrare una precisa attenzione e responsività nei giochi tattili con i genitori, per esempio rispondendo con un pari numero di calcetti ad un certo numero di piccoli colpi delle dita sull’addome materno, oppure seguendo con i suoi arti, sulla parete interna dell’utero, il percorso del dito del genitore sull’addome.
Ancora una volta viene posta particolare enfasi sull’importanza di avviare una precoce comunicazione tra genitori e feto, utilizzando varie modalità comunicative sensoriali e affettive, anche nell’ottica di una promozione precoce del legame affettivo genitori-bambino.*
Il presente excursus sulla vita prenatale, sintetico e chiaro, permette di cogliere il profondo mistero della vita, che si sviluppa nel grembo materno, e può facilitare l’emergere nel padre la funzione paterna nella sua pregnanza e la disponibilità a vivere la paternità con gioioso impegno.
Il padre perpetua la sua vita nella vita dei figli.
Diviene sempre più evidente come egli debba ritrovare la sua collocazione a fianco della propria compagna, con cui condividere la genitorialità ed essere considerato non solo colui che mantiene, ma che si prende cura, sentendosi considerato l’altra “figura” fondamentale della crescita del figlio.
* Questo paragrafo usufruisce del contributo di Pier Paolo Gobbi, tratto da “Le origini delle emozioni nella vita prenatale e nel primo anno di vita” (tesi inedita per la Scuola Superiore Professionale di formazione in psicomotricità, Verona 2002).
* Per un approfondimento del tema e per un dettagliato resoconto di tali esperienze viene segnalato il sito dell’Associazione Italiana Massaggio Infantile: http://www.aim.ionlus.it
Altri due siti interessanti per il materiale bibliografico e scientifico sono: 1) Anep (Associazione Naz. per l’Educazione Prenatale): www. anep.it; 2) e Anpep (Associazione Naz. di Psicologia e di Educazione Prenatale): www. anpep.it