IDENTITA’ PSICOSESSUALE E LO SCAMBIO DEI RUOLI GENITORIALI – Gilberto Gobbi –
Prima fase – La coppia è sposata da sei anni. Lei è insegnante di ruolo nella scuola elementare, molto apprezzata dalle colleghe e dalle famiglie per la serietà professionale e per la capacità di tenere a freno i bambini e farli apprendere. Il marito è un impiegato con funzioni di dirigente in una media industria, ben voluto per la sua capacità relazionale e di mediazione. Diamo loro un nome: Loredana e Alberto. Hanno una figlia di anni tre anni e mezzo, Carlotta, il cui comportamento li preoccupa. Vi è anche un secondo figlio di un anno, Corrado.
Primo colloquio con la coppia. E’ Loredana ad iniziare subito a parlare, focalizzando la conversazione sulle problematiche della figlia. Gli interventi si intersecano, ma vi è dominanza di quelli della signora. Nella presentazione della situazione di Carlotta, in lei emergono ansie e paure che la figlia abbia una profonda disfunzione, una patologia irreversibile; ha esitazione nel parlarne. Alberto, invece, sembra più preoccupato del sintomo e pensa ad un lavoretto leggero di breve durata, una consulenza rapida sia per la bambina che per loro. Secondo lui non vi sono problemi gravi: si vogliono bene e vanno d’accordo; forse vi sono da rivedere alcuni aspetti marginali della relazione, forse più per la moglie che per sé. Come padre si sente abbastanza tranquillo.
Hanno bisogno di conferme, di sentirsi sicuri sulla scelta del terapeuta e sul tempo della scelta. La signora era andata da sola, dopo alcuni mesi di titubanza da uno psicologo per avere un parere, quando la bambina aveva due anni, perché il suo comportamento la preoccupava. Lo psicologo, dopo un quarto d’ora, la licenziava dicendo: “Signora non si preoccupi, vedrà che cambierà, sono solo problemi del momento”. Ci sono voluti tempo e indagini dettagliate perché decidessero di consultare un altro psicologo. Lei tornerà successivamente sull’argomento.
Il colloquio si sposta sulla fiducia nella terapia della bimba, sono preoccupati, ma avevano sentito dire che il collega era uno dei migliori psicoterapeuti per bambini. Hanno bisogno di una mia conferma e di essere molto rassicurati. Hanno pure necessità di sentirsi ripetere che è conveniente svolgere un lavoro separato, a causa di un possibile invischiamento durante il lavoro terapeutico con lo stesso operatore.
Comunico che questo è un colloquio di conoscenza reciproca e che nella mia prassi prevedo dei colloqui separati, prima di iniziare con la coppia. Conveniamo su un altro colloquio successivo ancora assieme in quanto devono permettermi di rendermi conto e poi assieme si sarebbe deciso il da farsi. Escono dallo studio separatamente, in quanto la signora, carica d’ansia, tende a soffermarsi ancora qualche attimo per avere conferme sulla gravità della figlia. Non posso se non rinviare al collega e alle sedute successive.
Ho la sensazione che non mi abbiano detto la verità sulla coppia, sul loro accordo, sui vissuti individuali, sui conflitti e su come li risolvono, sulla percezione reciproca, sulla gestione dei processi educativi. D’altra parte è la prima seduta.
Va aggiunto che, parlando di Corrado, il figlio di un anno, lo definiscono “bello, sano, intelligente,vivace…, molto diverso da Carlotta”. I due si confermano reciprocamente con sguardi e assensi del capo. Per un attimo gli occhi dei due si sono illuminati, per poi assumere un velo di tristezza: incombe l’ombra di Carlotta.
Colloqui con la signora. Analizzando il primo colloquio, prevedo nel successivo la possibilità di fare una puntata nella storia matrimoniale e nelle dinamiche relazionali. All’appuntamento si presenta solo Loredana, dicendo che il marito “ritarderà parecchio per problemi di parcheggio”. Siamo ancora in piedi davanti alla porta semiaperta e lei inizia a piangere, dicendo che desidera dirmi “una cosa prima che arrivi il marito”, ma che non può farlo di fronte a lui. La bugia è evidente: entrambi siamo coscienti che il marito non sarebbe arrivato. E’ un imprevisto nel percorso terapeutico, che con molti altri mi ha insegnato parecchio sull’esigenza di tener conto delle “sorprese” dei clienti e di valutare meglio il “non detto” delle precedenti sedute. In questo caso avevo sottovalutato le reticenze, gli sguardi, il contenuto sotterraneo dei due, ma in modo particolare la carica emotiva della signora, durante tutto il colloquio e quel bisogno di fermarsi alla fine a parlarmi due secondi da sola.
Loredana mi conferma che il marito non arriverà. Iniziamo la seduta. Tra lacrime e singhiozzi, racconta del grave magone che la blocca e che non ha palesato a nessuno, “è la prima volta che ne parlo con qualcuno”.
Racconta della grande ansia durante i nove mesi di gravidanza, della paura del parto e del “panico” di non essere capace di mettere al mondo un figlio “sano” e di non saperlo gestire; la paura di mettere al mondo un bambino handicappato. A scuola ne aveva e si li sognava di notte. I nove mesi erano stati un cruccio anche per le attese dell’allattamento al seno e la paura di non aver latte. Aveva aspettato con ansia la prima poppata, ma la bimba, malgrado le varie insistenze, non si attaccava. Di fronte a ciò, fu presa da un “terribile pensiero”: “Mia figlia non mi vuole come madre !”, rafforzato dai vani tentativi dei giorni successivi, andati tutti a vuoto: “ Mentre il secondo figlio si è attaccato subito e l’ho sentito mio”. Carlotta non l’ha sentita sua, lei non l’ha voluta come madre.
Il problema è stato tenuto dentro tutti questi anni, con momenti di ansia e sensi di colpa, di rabbia di fronte all’attuale comportamento della bambina, che negli ultimi tempi sta peggiorando. “Mi sentivo inerme, impotente. Nel sentirmi rifiutata, sono arrivata a rifiutarla, non dico ad odiarla, ma quasi!”.
Io intervengo quel tanto che serve a chiarire le circostanze e ad approfondire i vissuti. Loredana non ha bisogno di incoraggiamenti: l’intensa carica emozionale è un fiume in piena. Ogni tanto si scusa e riprende il controllo, ma solo per qualche attimo, per troppo tempo ha tenuto dentro i suoi vissuti.
Si era consultata con uno psicologo, “Con un suo collega”, mi dice, supplente in una struttura pubblica, il quale, dopo aver ascoltato i suoi timori, di fronte ai problemi della bambina, non è andato oltre l’ascolto dei comportamenti di Carlotta ed ha esordito: “Come il solito, le maestre sono una delle categorie che incontrano maggiori difficoltà nell’educare i propri figli”. Poi ha continuato nelle sue affermazioni, dicendo con un sorriso “malizioso” che era più facile il rapporto con i figli degli altri che con i propri. Loredana l’ha lasciato continuare, non lo stava più ascoltando. Alla fine del colloquio invitava la signora a portargli la bambina, però a suo parere non c’era da preoccuparsi perché vi sono tanti bambini che passano attraverso fasi disturbate e di chiusura quando nasce un fratellino o una sorellina.
Loredana parla scrutandomi: “Non aveva chiesto nulla di me, di mio marito, della nostra vita familiare. Aveva concluso che era un normale problema di gelosia… Uscendo avevo giurato a me stessa di non rivolgermi mai più a nessun psicologo… Ora sono qui!”.
Dice di aver atteso dell’altro tempo e che, vedendo la figlia peggiorare nel “toccarsi e masturbarsi” e il marito fortemente preoccupato, ha iniziato a guardasi attorno e chiedere informazioni di psicologi che seguissero i bambini con problemi, però non nella propria città. Un’amica, che l’aveva consultato per una figlia, le ha parlato bene del mio collega. Il primo colloquio con lui è stato interlocutorio, poi si è rasserenata, ha parlato con il marito e assieme hanno deciso. Sull’opportunità di fare dei colloqui di coppia lei se lo aspettava, anzi ne era convinta, mentre il marito aveva opposto delle resistenze, per cui: “Lui viene perché il dottore ce lo ha quasi imposto come condizione per prendere in carico Carlotta”.
Loredana vede la bambina molto grave e ha il timore che sia un disturbo irreversibile. Si è aggiornata e ha letto molto sull’argomento. E’ molto preoccupata, anche perché il collega ha detto che sarà un lavoro abbastanza lungo e che occorre la loro fattiva collaborazione e una grande disponibilità. Si sente in trappola, non vorrebbe essere stata lei la causa della disfunzione della figlia. Vive un profondo senso di colpa per non aver accettato la bambina e rabbia di impotenza. Ora si sente meglio, perché finalmente vi è un’altra persona, di cui si fida, che condivide il suo segreto. Il tempo è terminato. Loredana mi dice che ciò che mi ha rivelato deve rimanere un segreto tra lei e me e che non se ne dovrà parlare durante i colloqui di coppia. Rispondo che sarà lei a decidere se e quando parlarne al marito e che mi sembra che vi siano tante cose non dette tra di loro, che avevano causato molti equivoci. Dico pure che, come previsto, il colloquio separato con lei era già stato fatto e che ora sarebbe toccato al marito, per il quale fisso un nuova data, da solo.
Colloquio con il marito. Alberto esordisce dicendo che è venuto volentieri da solo e che per l’altra volta era rimasto molto male, perché Loredana aveva deciso di venire da sola. Non si era potuto opporre, perché “quando decide occorre assecondarla”. La comprende, però, perché da tempo sta soffrendo moltissimo ed è fortemente preoccupata per la bimba. Anche lui lo è, ma non come la moglie.
Sollecitato a parlare di sé, egli si addentra sempre più nel descrivere il comportamento della figlia e nell’esprimere la sua preoccupazione per il modo di trattare Carlotta da parte della moglie. Fin dalla nascita, non c’è stato un buon rapporto tra madre e figlia, per cui, per il bene della bambina, lui ha dovuto prendersi cura di Carlotta, sostituendosi alla moglie in tante cose, si può dire in tutto. Non c’è bisogno di sollecitarlo, perché parla seguendo un suo discorso interno, da tanto tempo trattenuto. Racconta che dopo la gravidanza Loredana è stata male; avrebbe voluto allattare – ci teneva tanto – ma la bimba non si attaccava al seno. Alberto crede che Loredana abbia sofferto molto per questo, ma non ne ha mai voluto parlare. Egli ritiene che, ritornata dalla clinica, Loredana sia precipitata in una profonda depressione post-partum. Stava spesso a letto, al buio, inerte, piangeva spesso e si curava pochissimo della bimba. Andavano a dare una mano la madre di lei e anche una sorella di lui. Il resto era compito di Alberto: biberon, bagnetto, gioco, alzarsi di notte. Per lasciare tranquilla Loredana si era trasferito a dormire con Carlotta in una cameretta a parte.
Alberto aveva organizzato i ritmi del lavoro e della sua vita sui ritmi e le necessità della bambina. Le incombenze varie erano distribuite tra la suocera, la sorella e lui. Al tentativo di far emergere il suo vissuto in tale situazione, risponde che faceva tutto molto volentieri per amore della figlia e della moglie e che tutto ciò non gli pesava. Egli è intento a raccontare, non a raccontarsi. Io cerco di leggere i suoi vissuti dalla mimica facciale, i movimenti del corpo e le variazioni del tono della voce. Prosegue nel suo racconto. Molto lentamente Loredana si è ripresa ed ha iniziato a curarsi della bambina, ma era impacciata e brusca; le dava fastidio quando la bambina piangeva, non sapeva calmarla e non sapeva farle il bagnetto. A volte quando la prendeva in braccio e la bambina piangeva, lui interveniva e riusciva a tranquillizzarla. Di fronte a ciò Loredana si stizziva, si arrabbiava e si chiudeva in se stessa.
Invitato di nuovo a parlare di sé nella situazione, prosegue dicendo che la bambina gli è molto legata. Quando lui non c’è, Carlotta lo cerca, così gli riferisce sua moglie, e quando è in casa vuole fare ogni cosa con lui, come, per esempio, andare in bagno, fare il bagnetto, prepararsi la sera per andare a letto e il mattino alla scuola materna. Loredana non ha pazienza, ha modi sgarbati e Carlotta ne risente molto, è una bambina “molto sensibile”. Anche con lui fa dei capricci, ma poi si calma. Occorre molta delicatezza e lui ritiene di averla. Talvolta ci sono stati e ci sono tuttora degli scontri tra lui e Loredana su come seguire Carlotta. Non gli è mai andato a genio il modo di fare della moglie, che a sua volta lo accusa di dargliele tutte vinte, per cui la figlia cresce disobbediente. Per il resto, riconferma che tra di loro vi è abbastanza unione e che stanno sistemando una casa in città, acquistata con sacrifici e risparmi. Fra qualche mese si trasferiranno e le cose dovrebbero cambiare in meglio, anche perché vi sono le camere per ciascun bambino.
“E’ proprio così grave Carlotta? E’ brutto vederla toccarsi e dondolarsi davanti alla televisione o mentre ascolta le canzoncine. Continua nel suo comportamento e non ascolta nessun nostro intervento. E’ imbarazzante se lo fa quando c’è gente in casa… E’ un comportamento che proprio mi preoccupa: non vorrei che da grande arrivasse a deviazioni sessuali… Si sentono tante cose in merito!” Il bambino piccolo, invece, di un anno, a confronto con sua sorella è allegro, vivace, coccolone, affettuoso, molto attaccato alla madre. Anzi, per Loredana sembra colmare ciò che le è mancato con Carlotta. Anche a lui è legato, ma con la mamma è qualcosa di particolare…“E’ bello vederli avvinghiati!”.
Al mio intervento che il tempo è terminato, dice: “Peccato, perché avrei tante cose ancora da raccontare!”. Faccio presente che vi sarà possibilità di farlo nei colloqui di coppia. “Sarà difficile, – controbatte – perché con Loredana è veramente difficile parlare di certe cose”. Fissiamo il prossimo appuntamento per la coppia.
Colloqui con la coppia. I due si presentano puntuali. Il nostro colloquio coincide con la seduta terapeutica della bambina. A mia insaputa avevano fatto in modo di venire lo stesso giorno e la stessa ora, per concentrare il tutto. Vi è un confronto a tre sulla convenienza della coincidenza della seduta. Ripropongo “il tempo per loro”, in quanto dopo la nascita dei figli non ne avevano più avuto, neanche mezza giornata. Quando uscivano avevano sempre i bambini. Emerge che hanno la possibilità di affidarli a qualcuno, la madre di lei o la sorella di lui. Ma non lo hanno mai fatto. Si sentono profondamente responsabili dei figli, specialmente Alberto. Lei si dimostra più disponibile, anzi non vede l’ora. Sono seduti lontani l’uno dall’altra, sembrano in sospensione.
L’argomento figlia viene ripreso da Loredana, che si dimostra sollevata perché Carlotta va volentieri dal “suo amico ….”, ma lei è molto preoccupata e a scuola continua a confrontare il comportamento della figlia con quello dei suoi alunni handicappati. Il marito condivide le preoccupazioni della moglie, dicendo che, purtroppo, la figlia continua con la masturbazione ed egli ha difficoltà a sopportare tale comportamento.
Dopo qualche mia precisazione sul lavoro del collega e sulla necessità di avere pazienza ed accettazione nei confronti della figlia, li porto a parlare di loro, di come si sono sposati, delle attese reciproche, delle loro idee sul matrimonio, di come si sono messi assieme. Si sono incontrati in un gruppo alpinistico. Prima vi è stata conoscenza, poi amicizia, infine hanno incominciato ad uscire da soli, pur continuando a frequentare di tanto in tanto il gruppo.
Si diffondono nei ricordi, intersecandosi nel racconto, che non è cronaca, ma vissuto: le reciproche timidezze, le difficoltà e diffidenze di Loredana, che desiderava un “bravo” ragazzo, che condividesse gli stessi ideali, anche quelli religiosi; Alberto, infine, rispondeva al suo ideale di uomo. Quindi la presentazione alle reciproche famiglie, due anni e mezzo di fidanzamento e il matrimonio: ventinove anni lei, trentatré lui. Nel frattempo Loredana aveva vinto il concorso di ruolo come maestra, mentre Alberto era da tempo impiegato tecnico in una media industria. Inizialmente non vi sono stati problemi di incomprensione, condividevano tutto: valori, tempo libero, amicizie. Lui si adattava facilmente, lei un po’ meno, ma non era un problema…; buono il rapporto con le famiglie d’origine, e forte fin da subito il desiderio di avere figli.
La storia della coppia continua nei successivi cinque colloqui. In ognuno il tempo iniziale è dedicato alla bimba che va volentieri dal collega, ma che continua nel suo solito comportamento. Il dialogo tra i due si scioglie, si parlano, si dicono le loro emozioni, le paure, le ansie. Viene pure l’occasione in cui Loredana racconta al marito della sua paura di non essere capace di metter al mondo figli sani e di non essersi sentita accettata dalla figlia. Alberto inizialmente ha difficoltà ad ascoltare, poi sembra comprendere, quindi ha l’occasione per verbalizzare e giustificare la manifesta sfiducia che ha ancora nei confronti della moglie nel suo ruolo di madre e la conseguente assunzione da parte sua del ruolo sostitutivo: “Ho dovuto”.
Fin dall’inizio vi era stata una grande confusione dei ruoli, anzi un interscambio tacito, che con il tempo aveva creato una conflittualità ed una situazione relazionale “equivoca”, in cui la triade era rimasta invischiata. Appariva chiaro che Loredana reclamava l’assunzione del suo “ruolo di madre” nei confronti di Carlotta, perché aveva sperimentato che con Corrado lo sapeva fare, e che il marito, per sfiducia, non glielo permetteva. Lui, tra l’altro, non sapeva che cosa fosse svolgere il “ruolo di padre”: anche con Corrado si trovava in difficoltà.
Intanto la bambina prosegue nel lavoro con il collega, con cui si approfondisce la confusione dei ruoli che Carlotta fin da subito ha avuto, con tutto il peso sul processo di fusione, simbiosi, differenziazione, identità del Sé e dell’immagine di Sé. Si concorda sull’esigenza della modifica dei ruoli e sulla necessità che la bambina riviva e ristrutturi le varie fasi. Mentre la terapia corporea con Carlotta inizia a dare qualche risultato, occorre intervenire profondamente sugli atteggiamenti, comportamenti e vissuti dei coniugi tra di loro e con la figlia.
Seconda fase – Ritengo che sia giunto di momento di intervenire sulla modifica dei ruoli. Ne parliamo in terapia. Mentre vi è manifesta adesione da parte della signora, in lui trovo l’opposizione più ostinata. E’ ancora radicato nell’idea che Loredana “non è capace” e che “Carlotta ne soffrirà moltissimo”. Lavoro sul “darsi il potere reciproco di fare il padre e di fare la madre”, indicando un primo “compito a casa” sui comportamenti alla sera, in modo che sia Loredana a gestire completamente l’andare a letto di Carlotta. Alberto minaccia di lasciare la terapia, poi…: “Proviamo! Ma non sono completamente d’accordo”. Lui dovrà uscire da casa: dovrà trovare una giustificazione per la bimba, lasciando a Loredana la gestione completa.
E’ un lento e graduale avvicinamento tra madre e figlia, che richiede mesi. Le due hanno molta difficoltà, perché Carlotta cerca il padre e Loredana si sente inizialmente rifiutata. In terapia è un lento lavoro di approfondimento dei vissuti della coppia. Loredana riprende di fronte al marito i vissuti degli abbandoni e dei rifiuti della sua vita, che si intrecciano con quelli di lui.
Lentamente madre e figlia si relazionano: si cambiano, si lavano assieme…, la signora si siede a fianco del letto a leggere le favole, poi si siede sul letto e quindi si sdraia vicino alla figlia, e quindi entra sotto le coperte. I loro corpi riprendono a relazionarsi, a fondersi, a coccolarsi, ad accarezzarsi. Carlotta comincia ad esplorare le varie parti del corpo della mamma, che fa fatica internamente ad accettare tali esplorazioni. In seduta manifesta il suo disagio, i vissuti più disparati: dice, però, che avverte di sciogliersi e di “sentire” finalmente la figlia. Il marito esprime le sue difficoltà, le sue resistenze, ma vede dei progressi e, per “il bene della figlia”, continua ad uscire tutte le sere, alcune volte a casa della mamma, altre della sorella, altre ancora a lavorare (ha modificato i turni).
La figlia durante il giorno cerca di più la mamma, che tuttavia non si sente ancora completamente nel suo ruolo di madre. Loredana si percepisce sempre di più tranquilla, il suo corpo è meno rigido, tuttavia spesso si sente messa alla prova da Carlotta, che fa i capricci e le resiste. I due confermano che Carlotta è molto più tranquilla, “si tocca” solo qualche volta, parla più spigliatamente, é “coccolona” con il fratellino, i suoi movimenti sono più aggraziati, va sempre volentieri dal collega. Anche le maestre della scuola materna la vedono cambiare.
Terza fase – Dopo mesi di questo iter – siamo a metà del secondo anno di terapia – Alberto riprende a stare a casa la sera, senza che Carlotta lo reclami per sé, anzi vuole sempre la mamma per preparasi ad andare a letto, per leggere le favole e per coccolarsi sotto le coperte. Di notte, se si sveglia per degli incubi, vuole solo la mamma. Alberto conferma che Loredana sa gestire non solo la casa, ma anche i figli, che “sa fare bene la mamma”, e che “la sente di più anche come moglie”. In una seduta Alberto riconferma la sua tranquillità, dicendomi: “Ora so che cosa significa fare il padre e il marito. E’ bello, si sta più tranquilli, si vive molto meglio!”
Con il tempo la coppia viene da me ogni quindici o venti giorni, mentre la terapia della bambina con il collega procede settimanalmente: la bimba sta diventando “solare”, tranquilla, ha i comportamenti propri della sua età. Verso la fine del secondo anno ricevo una telefonata dalla signora, anche a nome del marito, perché hanno urgente bisogno di vedermi. Sono molto ansiosi perché da qualche giorno Carlotta ha ripreso a dondolarsi, a “toccarsi” e a chiudersi in camera al buio. Il collega è fuori città per vari giorni, per cui stanno saltando gli incontri, altrimenti si sarebbero rivolti a lui. Non sanno che cosa fare. Nel colloquio, molto breve, mi viene di suggerire alla signora questo comportamento: una volta che Carlotta si dovesse trovare in camera accucciata al buio, di entrare, avvicinarsi lentamente, sedersi sul pavimento, avvolgerla da dietro in mezzo alle gambe, dondolarsi con lei e stare con lei, sussurrandole parole di tenerezza. Poi sdraiarsi al suolo e lentamente stendere Carlotta sul suo corpo, avvolgerla con le braccia, sentirla e sussurrale: “Tu sei la mia bambina buona, bella, brava…; la mamma ti vuole tanto bene e tu vuoi bene alla mamma… Mamma è tua e tu sei della mamma…” e poi tutto quello che una mamma sa dire, dare e fare. Quindi aprire assieme le tapparelle, perché entri la luce e uscire a fare una passeggiata e mangiare qualcosa, se è il caso.
Dopo qualche giorno, il collega, a cui racconto l’accaduto, trova Carlotta tranquilla e spigliata, molto comunicativa. Nel colloquio con la coppia, mi viene confermato che Loredana ha fatto quanto era stato suggerito. Per lei è stato qualcosa di “doloroso” e di “bello”, in quegli attimi ha avuto la sensazione di ri-partorire la figlia e di essersi riappropriata di lei.
Ad Alberto esce: “Loredana è meravigliosa” e le stringe la mano. Lei gliela tiene, durante tutto il periodo della seduta.
All’inizio del percorso terapeutico, ogni tentativo del marito di prenderle la mano veniva vanificato da lei. Non vi sono stati più episodi di chiusura. Carlotta continua a frequentare, a scadenze dilazionate, il collega, a cui ha lasciato, in fasi diverse i tre “ciucci” e i suoi traumi. E’ una bambina serena, che viene inserita alla scuola elementare, senza bisogno dell’insegnante di sostegno e apprende “nella norma”. La terapia con la coppia è terminata prima di quella della figlia.
Carlotta ha frequentato senza problemi le elementari e le medie e ha conseguito un diploma di scuola media superiore, vivendo i problemi propri di un’adolescente.
Brevi annotazioni –Ci si trovava di fronte ad una situazione di profonda sofferenza di una bambina che è alle soglie di una conclamata patologia e ad un nucleo familiare disfunzionale. La lettura poteva essere diversa a seconda dell’impostazione teorica da cui ci si pone. Un posizione è quella di affrontare, con modalità terapeutiche differenti, la disfunzione di Carlotta come un suo problema. Quella che ho assunto, invece, è stata di leggere la patologia come sintomo di una disfunzione della struttura familiare, in cui ogni membro era condizionato e condizionava, e in cui i ruoli genitoriali si erano completamente scambiati.
I due membri della coppia erano portatori di attese, di richieste e di vissuti, di una storia che si era intersecata con la storia dell’altro. Problemi individuali e di coppia costituivano il clima psico-affettivo, in cui Carlotta aveva sviluppato la sua disfunzione. Era necessario modificare il clima psico-affettivo e i ruoli e le funzioni genitoriali per contribuire alla destrutturazione e alla ristrutturazione della personalità di Carlotta, che nella terapia a mediazione corporea e psicomotoria e nella relazione con il suo terapeuta avrebbe trovato gli stimoli e gli strumenti per un suo ri-nascere.
Senza il rischio di essere smentiti, era chiaro che Carlotta non aveva trovato nel nucleo familiare le condizioni per appagare e superare i suoi bisogni primari di attaccamento e di accettazione, di vivere le fasi evolutive della simbiosi, della differenziazione e della identificazione. Aveva vissuto e viveva la depressione della madre e lo scambio e la confusione dei ruoli. Occorreva ri-modulare il clima psico-affettivo, ri-creare la diade madre/bambina nel suo processo fluttuante, in cui ansia e sicurezza passano dall’una all’altra, e ri-vedere la triangolazione bambina/madre/padre, in cui il padre si era alleato con la figlia disturbata contro la madre, che aveva trovato il proprio coinvolgimento affettivo nel secondo figlio.
Il nucleo familiare viveva un grado di fusione relazionale, in cui i singoli membri erano incapaci di definirsi rispetto agli altri. Era necessario ridefinire i confini e i ruoli di ciascun membro, rimodulare la comunicazione, introdurre l’accettazione dell’ambivalenza relazionale e comportamentale.
Nel corso della terapia con la coppia si è ritenuto opportuno l’uso di prescrivere “compiti a casa”, utilizzati non per il loro contenuto fattuale, ma per il significato simbolico che potevano assumere nella vita della coppia e del contesto familiare.
Il percorso seguito ha permesso a Loredana di ri-acquisire il suo senso di sé, del proprio corpo, dell’identità psicosessuale, del ruolo materno e di quello di donna/relazionata ad un uomo, da cui differenziarsi senza conflittualità e competizione, e ad Alberto di ri-definire i propri confini, di ri-dimensionare la sua onnipotenza “sostitutiva” e di acquisire l’identità di padre e marito, riconoscendo a ciascun membro il proprio spazio nella struttura familiare. Calotta non poteva che trarre giovamento dal clima psicoaffettiva che lentamente si modificava, mentre perseguiva gli obiettivi di identità e di differenziazione nella “sua” psicoterapia corporea. (Gilberto Gobbi, Il Padre non è perfetto, Vita Nuova, Verona 2004).
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