LA RICERCA DELLE RADICI – Gilberto Gobbi –
Angela era stata affidata con altre due sorelle ad un orfanotrofio. Aveva quasi due anni: due occhi neri vivaci, grassoccia, teneva costantemente con sé un pupazzetto di stoffa, che manipolava accoccolata in un angolo. Rifiutava i giochi con gli altri bambini. Un giorno una signora sui quarant’anni, senza figli, era andata a visitare l’orfanotrofio. Passando accanto alla bimba, fu colpita da quei due occhioni neri e le si avvicinò. Dalla bocca della bimba uscì: “Mamma!”, mentre le braccia si tendevano verso di lei. La prese in braccio e la strinse a sé.
La signora fece di tutto per adottarla: convinse il marito e si destreggiò tra la burocrazia: tre mesi dopo era “sua” figlia. Si parla di circa 45 anni fa.
I due dedicarono la loro vita ad Angela: era la loro figlia. Furono padre e madre psicologici, affettivi: sentivano di averle dato la vita. Angela era loro. Le raccontarono la sua storia e permisero che lei avesse costantemente contatti con le due sorelle, adottate da altre due famiglie. Sembrava che ciò fosse sufficiente per tranquillizzare Angela e permetterle di continuare ad avere legami con le sue radici, rappresentate dalle sorelle.
Nell’adolescenza vi fu una crescente tensione con esplosioni conflittuali nei confronti dei genitori adottivi, ed Angela manifestò una volontà ossessiva di voler ricercare i “suoi” genitori naturali.
La sofferenza dei genitori adottivi era enorme: emersero tensioni tra i due, che mai vi erano state in precedenza. Angela, con il suo modo di provocarli, aveva toccato aspetti profondi della loro relazione di coppia.
A scuola era insopportabile, provocatrice, capace di far saltare gli equilibri degli insegnanti e della classe. La sua instabilità riusciva a destabilizzare qualunque ambiente da lei frequentato. In casa vi era l’inferno. Era in pieno sviluppo adolescenziale. La crisi più intensa avvenne dopo la morte del padre, in terza superiore, e la portò a farsi bocciare.
Quando Angela arrivò in psicoterapia la ricerca del padre biologico era già divenuto l’obiettivo primario del suo vivere. Non era convinta di dover farsi aiutare. La mamma le aveva detto: “Ora siamo noi due e stiamo vivendo male, conviene che assieme ci facciamo aiutare”. Aveva accondisceso a condizione che anche la mamma facesse la terapia con lei.
Così si iniziò un percorso con le due, che portò a far accettare alla mamma che Angela potesse portare a termine la sua ricerca sulle reali origini. Già questo facilitò una certa tranquillità in casa e la ripresa della scuola con buoni risultati. Dopo una ventina di sedute, Angela espresse il desiderio di continuare da sola e così avvenne.
Nel frattempo ricostruì la sua storia e quella delle sorelle e dei fratelli, perché vi erano anche dei fratelli, di cui aveva saputo l’esistenza, senza mai averli conosciuti.
Seppe del padre “biologico”, che era morto quando lei aveva 13 mesi; un padre, che si era consunto per mantenere la famiglia numerosa, ma che lei aveva solo appena intravisto: non vi erano tracce di lui nella sua memoria, ma solo le fantasie negative, che lei aveva costruito seguendo alcune discorsi di una sorella più vecchia di quattro anni. La madre era morta dopo qualche mese dall’affido di Angela all’orfanotrofio.
Angela identificò dentro di sé le varie figure di “padre”, le ricompose e le accettò per quello che erano state. Ridimensionò quella delle madri, rinnovando il già profondo legame con la madre “affettiva”: la ri-conobbe come “sua” madre.
Terminò brillantemente la scuola media superiore, con meraviglia dei suoi professori e si iscrisse alla facoltà di psicologia, laureandosi in un tempo regolare. Dopo la scuola quadriennale di perfezionamento in psicoterapia, iniziò ad operare in vari settori, specialmente in quello della famiglia. Nel pieno dell’attività e quando si stava aprendo ad una relazione amorosa, un male incurabile recise la sua vita a soli 32 anni. (G.G., Il padre non è perfetto, 2004)