Solitudine – Il gabbiano Jonathan
“E il gabbiano Jonathan visse il resto dei suoi giorni esule e solo. Il suo maggiore dolore non era la solitudine: era che gli altri gabbiani di rifiutassero di credere e aspirare alla gloria del volo. Ogni giorno, lui apprendeva cose nuove. Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia, la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano. Ma, con l’animo sgombro da esse, lui per lui, visse contento, visse molto a lungo” (…)
“- Ma, perché Jon, perché – gli domandò sua madre. – Perché non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Ci vuole tanto poco! Ma perché non lo lasci ai pellicani il volo radente? Agli albatri? E perché non magi niente? Figlio mio, sei ridotto a penne e ossa!
– Non importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di imparare.
Al levar del sole, Jonathan era di nuovo là che si allenava. Lui si sentiva vivo come non mai, fremente di gioia, fiero di aver domato la paura” (Bach R., Il gabbiano Livingston, Rizzoli, Milano 1976).
Bellissimo romanzo, merita di essere letto perchè a chiunque sa parlare.
Ciao ciao
"Mi piace""Mi piace"
La decisione di mettersi in cammino è sempre una decisione personale. Essa obbedisce ad un impulso interiore che si fa sentire in un momento particolare della propria vita. Coglierlo e accettarne l’invito è decisivo. Ma occorre prevedere una certa solitudine. L’uomo, nelle vicende più grandi che vive, è solo. Bisogna non avere paura e accettare questa realtà che fa diventare se stessi e, alla lunga, felici. L’esperienza del gabbiano Jonathan è molto pertinente.
"Mi piace""Mi piace"